La fenomenologia di qualsivoglia criminale è strettamente connessa alla connotazione politica, culturale e geografica in cui questi si muove. Tale considerazione può risultare pressoché scontata al lettore più preparato o smaliziato, ma resta doverosa, soprattutto se l’oggetto dell’indagine è il crimine organizzato.
Meno banale è la seconda premessa. Mafia e banditismo sono realtà ben distinte e separate anche se spesso superficialmente accostate dall’elemento “organizzativo” e, talvolta, effettivamente accomunate dagli stessi avversari. Da un punto di vista mitologico-culturale, può capitare che bande organizzate mutino con il tempo in mafie e che usino figure leggendarie delle proprie origini per enfatizzare la propria connessione “romantica” con la popolazione del luogo in cui agiscono. Le stesse mafie possono, anche, sfruttare la morte “eroica” dei propri membri di basso rango per la stessa ragione.
Salvatore Giuliano, il bandito siciliano attivo nel secondo dopoguerra nella zona nord-ovest dell’isola, condivide con alcuni eccellenti esponenti dei cartelli sudamericani proprio il fascino esercitato sulle masse popolari e colpevolmente alimentato dalle rispettive mafie nei suoi territori.
Andando con ordine, sia Giuliano che i “colleghi” latinoamericani incarnano figure ascese al rango di vere e proprie leggende della cultura popolare. Il presunto senso di giustizia sociale di Giuliano e il suo atteggiamento ribelle contro le élites aristocratiche siciliane riflettevano una forma di “lotta per i diritti” accolta – e più o meno consapevolmente alimentata – da una parte dell’opinione pubblica siciliana. Elementi riscontrati anche nella narrativa narcos volta alla legittimazione delle proprie azioni criminali.
Per quanto risulterebbe del tutto naïf stupirsi del fascino che “il bandito” ha da sempre esercito e sempre eserciterà, sarebbe inappropriato non sollevare almeno un dubbio su quanto il bandito siciliano e i suoi colleghi meso e sudamericani meritino questo tipo di fortuna. Per quanto non ci sia l’intenzione in questa sede di appesantire l’esposizione con una leziosa ramanzina manichea sul concetto di “giusto e sbagliato”, non potrà che essere sollevato qualche dubbio sull’effettivo aiuto che questi outsider sono riusciti a fornire alle sottomesse popolazioni delle loro terre.
Iniziando con Salvatore Giuliano, la venerazione collettiva, ha radici sia nelle testimonianze dei contadini siciliani dell’epoca e dei loro immediati discendenti, che hanno beneficiato della sua presunta generosità, sia nell’opera giornalistica di reporter esteri che hanno immortalato la sua figura. Anche questa circostanza avvicina il siciliano ai suoi colleghi dell’altra parte dell’oceano.
Secondo Leonardo Sciascia, Giuliano «è diventato un mito, forse un eroe, nonostante tutto». Allo stesso modo, lo scrittore colombiano Juan Pablo Escobar ha scritto del culto che circonda i capi dei cartelli sudamericani, descrivendo come le loro gesta siano narrate in canti e ballate popolari. Ancora, il giornalista britannico Ioan Grillo ha documentato in El Narco il supporto e l’ammirazione che i membri dei cartelli sudamericani ricevono da parte delle comunità locali, grazie alle donazioni e ai progetti sociali che sponsorizzano.
Nonostante questo forte legame con il “popolo”, queste apparenti opere di carità mascherano un autentico sistema di estorsioni e coercizioni. La sua presunta generosità era spesso accompagnata da minacce e violenze contro coloro che non si sottomettevano al suo controllo. Giuliano, bandito e rivoluzionario, ha scatenato un conflitto aperto con le autorità e i potenti dell’epoca. La sua lotta armata è stata oggetto di indagini giudiziarie e processi. Su tutti, il processo per il massacro di Portella della Ginestra nel 1947, in cui Giuliano venne coinvolto.
Le sue azioni hanno seminato terrore e distruzione, ma la sua figura è stata riscattata e idealizzata dalla cultura popolare anche grazie alla ben poca chiarezza fatta su quegli eventi rispetto alla presenza di mandanti eccellenti e complici nelle esecuzioni.
La vicinanza di Cosa Nostra, in particolare Calogero Vizzini, alle vicende del Bandito cela, però, qualcosa di ben peggiore e oscuro degli ovvi sviluppi più superficialmente criminali, mettendo, inoltre, fortemente in crisi la posizione antielitaria del bandito. Come si può, infatti, essere antielitari, affiancando un’organizzazione latifondista come Cosa Nostra?
Don Calogero è stato il più noto boss mafioso dell’epoca e, oltre ad essere tra i sostenitori di Giuliano e averlo aiutato in diverse occasioni, fu la testa di ponte che permise lo sbarco in Sicilia degli Alleati nel 1942. Proprio quell’alleanza, benedetta da Lucky Luciano e dall’intelligence statunitense consacrò Cosa Nostra come vera e propria forza dominante sul territorio siciliano.
Questa vicinanza tra Giuliano e Cosa Nostra ha suscitato speculazioni sulla complicità tra il bandito e, tramite la mafia, il governo statunitense dell’epoca. Elementi che hanno aggiunto ulteriore complessità al mito di Giuliano, trasformando la sua storia in un punto chiave della geopolitica italiana. Infatti, in quel delicatissimo frangente, vi era un movimento culturale in Sicilia, il quale declinava la possibilità di unirsi agli Stati Uniti nei termini di una “nuova stella sulla bandiera”.
Quest’idea rifletteva un desiderio di liberazione dal governo italiano, visto da alcuni come oppressivo e corrotto già agli albori della Repubblica, una speranza di riscatto attraverso l’influenza americana. L’ennesima manifestazione dell’insicurezza siciliana alla costante ricerca di governi e governanti, che capiscano bisogni e aspirazioni di un territorio troppo spesso percepito solo come una “tacca sulla cintura”.
Paradossalmente, dunque, Salvatore Giuliano può essere considerato una sorta di versione filostatunitense del ‘modello narcos sudamericano’, a caccia dell’accezione più romantica del “sogno americano”. Mentre, infatti, Giuliano sognava di unirsi agli Stati Uniti, i cartelli sudamericani nutrono (inevitabilmente si dovrebbe aggiungere) un’accanita avversione nei confronti della superpotenza NATO.
La differenza fondamentale nel rapporto con gli Stati Uniti costituisce una chiave interpretativa delle dinamiche complesse e dei conflitti di interessi che caratterizzano queste realtà criminali. Mentre Giuliano ambiva a unirsi agli Stati Uniti per cercare una via di riscatto e opportunità, i cartelli sudamericani, spinti dalla lotta contro le politiche statunitensi di contrasto al narcotraffico, li vedono da sempre come nemici.
I cartelli sudamericani, infatti, si sono spesso scontrati con gli Stati Uniti a causa delle politiche di lotta al narcotraffico promosse dal governo statunitense, a metà tra propaganda e generica repressione criminale, mai comprendendo, tuttavia, l’effettivo radicamento del fenomeno sul territorio. Tanti interventi sugli effetti e nessuno sulle cause.
Entrambi i contesti, quindi, mostrano un’interessante relazione speculare con gli Stati Uniti. Giuliano desiderava abbracciare l’America come una forza di cambiamento e progresso, mentre i cartelli sudamericani lottano contro l’influenza statunitense per proteggere i loro interessi e il controllo dei territori del narcotraffico. Un contrasto tra prospettive, che mette in luce come il fascino criminale si esprima in modo differente in contesti geografici e culturali diversi.
Esiste, però, un altro grandissimo punto di contatto. Ciò che rende ancora più intrigante la parabola del bandito Giuliano è la sua conclusione. L’avvolgimento del suo feretro nella bandiera statunitense durante il suo funerale, oltre a confermare le considerazioni svolte, ha scatenato un culto sincretico in Sicilia.
La sua tomba è diventata un luogo di pellegrinaggio, dove vengono lasciati fiori e omaggi. Proprio come avviene con alcune tombe costruite in Sudamerica per i membri dei cartelli locali, ulteriori dimostrazioni di sfarzo e potere.
In America Latina è emersa una tendenza singolare in cui i membri dei cartelli della droga, una volta morti, vengono adorati e venerati, trasformando i loro luoghi di sepoltura in non propriamente ortodossi luoghi di culto. Questa pratica, sebbene controversa, è testimoniata da esempi come Pablo Escobar e Griselda Blanco in Colombia o Jesús Malverde in Messico.
Questi personaggi, una volta temuti e spietati leader del narcotraffico, sono diventati oggetto di ammirazione e devozione popolare dopo la loro morte. Le loro tombe, decorate con fiori, candele e oggetti simbolici, attirano pellegrini e adoratori che invocano la loro protezione e intercessione. Santuari ribelli che riflettono una complessa mescolanza di elementi religiosi, credenze popolari e tradizioni locali.
Forse, proprio in questi tipi di comportamento emerge maggiormente l’aspetto della responsabilità collettiva: l’ammirazione popolare nei confronti di questi criminali, infatti, è uno dei maggiori incentivi per il circolo vizioso, che rende particolarmente arduo il tentativo di intervenire sulla commistione tra crimine e territorio.
In conclusione, Salvatore Giuliano e i cartelli sudamericani, mondi criminali apparentemente distanti, convergono su precipui aspetti culturali, popolari e militari. Il culto sincretico intorno a Giuliano e la mitologia popolare dei cartelli sudamericani rivelano come il crimine si intrecci con le tradizioni culturali, creando una storia, inevitabilmente, avvincente. Due diverse sfaccettature del fascino criminale nella storia italiana e sudamericana.
Tuttavia, mentre le similitudini culturali, popolari e militari possono essere comprensibilmente intriganti, è fondamentale ricordare la necessità di una visione critica verso questi fenomeni. Questa è l’unica speranza concreta per porre fine al culto del crimine e del narcotraffico, rompendo il ciclo di violenza e distruzione che affligge le nostre comunità.
L’analisi comparativa tra Salvatore Giuliano e i cartelli sudamericani ci permette, quindi, di osservare come il fascino criminale prenda forme differenti, ma ugualmente potenti, in contesti diversi. Sebbene i dettagli specifici delle loro storie possano differire, entrambe le realtà richiamano l’attenzione del pubblico, divenendo generatrici di un vero e proprio culto attorno alla figura del criminale. Solo grazie a questa consapevolezza, possiamo approfondire la comprensione dei meccanismi sociali e culturali che alimentano il mito del criminale al fine di sviluppare strategie per contrastare e combattere il fascino glamour-crime.
Preferisco la frase “agiamo sempre sugli effetti e non sulle cause”, che dovrebbe essere l’obiettivo di ogni azione per risolvere i problemi, che generano “circoli viziosi perversi, e li trasformano in circoli virtuosi progressivi”.
visualizzare e agire sulle cause equivale a fermare i criminali divinizzati invece di glorificare coloro che fanno il bene
Sono pienamente d’accordo, Aldo.
Prefiero la frase “siempre actuamos sobre los efectos y no sobre las causas”, que debe ser el objetivo de toda acción para resolver problemas.
Los problemas que generan “perversos círculos viciosos, para transformarlos en progresivos círculos virtuosos”.
visualizar y actuar sobre las causas equivale a parar de venerar a los criminales, glorificando a los que hacen el bien.
Preferisco la frase “agiamo sempre sugli effetti e non sulle cause”, che dovrebbe essere l’obiettivo di ogni azione per risolvere i problemi.
I problemi che generano “circoli viziosi perversi, per trasformarli in circoli virtuosi progressivi”.
visualizzare e agire sulle cause equivale a smettere di venerare i criminali, glorificare chi fa il bene.