UNA MORTE LENTA?
Una rete troppo grande accoglie il corpo di una bambina di etnia Yanomami talmente denutrita, come scrive il reportage di El País, da lasciarne scoperte le costole. La piccola, dal 23 di aprile, sta ricevendo le cure di cui ha bisogno presso un ospedale di Boa Vista, capitale dello Stato amazzonico del Roraima, al confine col Venezuela.
Tuttavia, non solo la denutrizione è il male che affligge questa bambina – vittima anche di malaria, pneumonia e verminosi – la quale vive presso la aldeia Maimasi, nel Roraima, appunto, in una regione dove è assente ogni accompagnamento medico e che dista ben undici ore a piedi dal primo ospedale minimamente attrezzato.
Una situazione, questa relativa alle cure sanitarie alle popolazioni originarie, aggravatasi in misura cospicua, soprattutto negli Stati amazzonici, a seguito della scellerata modifica del programma Mais Médicos, a partire dal primo agosto 2019, avvenuta per mano dell’altrettanto scellerato governo di Jair Bolsonaro, il quale lo ha sostituito col programma Médicos pelo Brasil, dando avvio allo sterminio di fatto delle popolazioni indigene brasiliane abbandonate, dal punto di vista sanitario, al loro destino.
La bambina del reportage rappresenta un’eccezione rispetto alle regole della cultura Yanomami, la quale sempre preserva i propri curumim (bambini) dall’essere ritratti malati o comunque mostrando alcuna fragilità, come spiegato dal leader indigeno Dário Kopenawa. Gli Yanomami riservano una grande cura ai membri della loro comunità, che stiano vivendo una qualche infermità, preservandone l’immagine al fine di non indebolirla ulteriormente. Lo stesso vale per coloro che muoiono, i cui oggetti vengono bruciati perché sia preservato il loro spirito nel regno dei morti.
La foto presentata da El País, pertanto, è da leggersi come un atto di sensibilizzazione, un grido, nel tentativo di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica, brasiliana e internazionale, sul dramma che la popolazione Yanomami sta vivendo nei propri territori, presi nella morsa mortale dei garimpeiros (cacciatori d’oro) e dei madeireiros (cacciatori di legname), da un lato, e dall’altro con un Governo centrale, che, in ultima istanza, fa il gioco degli stessi predatori, i quali, quotidianamente, peggiorano, inquinando e disboscando, il già fragile ecosistema nel quale gli Yanomami vivono.
Da quando il governo di Jair Bolsonaro si è insediato – riprendendo, sull’Amazzonia, l’agenda della dittatura militare – le comunità indigene, ancor più quelle che abitano territori ricchi dal punto di vista minerario e forestale, sono state letteralmente prese di mira, abbandonate a livello sanitario e assai spesso vittime di invasioni, che hanno lasciato sul campo ogni volta morti e feriti. In uno scenario già così drammatico, il Covid-19 ha rappresentato la classica goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo da tempo.
Nonostante queste comunità siano riconosciute come prioritarie, la loro vaccinazione procede assai a rilento, principalmente a causa della deficitaria distribuzione di ospedali e centri medici pubblici sul territorio, molti di questi essendo stati chiusi per mancanza di personale a seguito delle già citate modifiche apportate al programma Mais Médicos.
Ancora più preoccupanti sono i dati pubblicati da alcune ricerche svolte dalla Fondazione Oswaldo Cruz (Fundação Oswaldo Cruz – Fiocruz) con riferimento a due aree di stanziamento degli Yanomami nel Roraima, quella di Auris e l’area di Maturaká. Lo studio, risalente all’anno passato, ha portato alla luce lo sconcertante dato di un 80% dei bambini fino a cinque anni, i quali presentavano una denutrizione cronica, mentre un altro 50% presentava una denutrizione acuta.
Una situazione, tuttavia, la quale non rappresenta una costante all’interno delle popolazioni indigene brasiliane, colpendo soltanto quelle popolazioni, che, per le ricchezze dei propri territori, sono periodicamente vittime degli attacchi dei garimpeiros, interessati alle ricchezze minerarie indigene, e dei madeireiros, a loro volta interessati al remunerativo mercato illegale del legname.
Le frequenti invasioni di queste due figure criminali, alle quali recentemente si è aggiunto l’ormai onnipresente, non solo in Brasile, Primeiro Comando da Capital (PCC), hanno provocato un’alterazione decisiva negli equilibri interni alla regione e pregiudicato l’esistenza degli Yanomami.
Scarsità d’acqua potabile e deficit nutrizionali elevati hanno finito per compromettere la vita di queste popolazioni, creando le condizioni più favorevoli allo svilupparsi di situazioni in larga misura croniche sotto il punto di vista clinico, quali verminosi, malaria e frequenti problemi di carattere intestinale.
Mentre gli appelli di aiuto al governo il più delle volte cadono nel vuoto, le scorribande illegali dei garimpeiros – ampiamente tollerate, quando non proprio difese, dallo stesso Bolsonaro – provocano danni ambientali enormi ai fiumi nei quali gli Yanomami pescano, alle foreste e alla caccia.
Come osserva Júnior Yanomami, tracciando un confine decisivo tra l’approccio occidentalmente predatorio dei garimpeiros e quello atto a tutelare il proprio ecosistema delle comunità indigene: “Noi ci alimentiamo della natura”. Uno stato di cose che apre voragini di necessità basilari, come, appunto, mangiare, le quali obbligano spesso gli Yanomami a lasciarsi alle spalle la propria vita nelle aldeias per lavorare con i napëpë, come loro chiamano i non indigeni. Ciò si traduce in un regime di alimentazione a base di cibi industrializzati, a cui queste popolazioni non sono abituate, che, oltre a non essere sufficientemente nutrienti, finiscono per debilitarne la salute.
Un quadro a tinte scurissime e particolarmente deprimente, al cui sopravanzare gli Yanomami cercano di resistere, combattendo la loro guerra di ogni giorno, difendendosi come possono, talvolta venendo supportati da unità della Polizia Federale, ma il più delle volte lasciati soli, senza nessun aiuto da parte del Governo Federale, davanti ai ripetuti attacchi dei garimpeiros.
Una vita – spiega sempre Júnior Yanomami – interamente dominata dalla paura, che, da un momento all’altro, invasori armati possano occupare la aldeia e “compiere un massacro”. Malgrado la Costituzione del 1988, malgrado le leggi a tutela delle riconosciute terre indigene, esiste in Brasile un vero Stato di Eccezione, dove il destino di popolazioni e territori sembra essere ogni volta deciso tramite legge del più forte.
Una tragedia già scritta, quella che in queste ore sembra prepararsi per gli Yanomami nelle loro stesse foreste, dove ognuno degli attori istituzionali coinvolti appare sempre pronto ad offrire il proprio aiuto a quel branco di delinquenti, che risponde al nome di garimpeiros e madeireiros illegali.
L’esercito, che, in luogo di aumentare il numero di soldati a difesa degli Yanomami, la settimana scorsa ha inviato uomini nella aldeia, presa di mira da recenti attacchi via fiume, per ritirarli poche ore dopo, senza offrire una spiegazione, né rispondere al reportage di El País sulla possibilità di inviare altre unità.
La Polizia Federale, che se ne è andata, promettendo di tornare per investigare la natura, a tutt’oggi assai poco chiara, di questi attacchi e lo stesso SESAI (Secretaria Especial de Saúde Indígena – Segreteria Speciale per la Salute Indigena), che ha ritirato il proprio personale medico di supporto alla comunità locale, considerando la situazione grave e dagli sviluppi, al momento, imprevedibili.
Negligenze intenzionali e perciò calcolate, nel primo caso, necessaria tutela dei propri dipendenti, per quanto riguarda il SESAI, siamo portati a pensare. Sia come sia, la comunità Yanomami si trova sotto assedio ed è un assedio che li trova completamente soli, isolati e come se non bastasse nel mezzo di una pandemia, che ha decimato le comunità tradizionali in tutto il Brasile.
Numeri, quelli associati a questa ecatombe nella più generale ecatombe del popolo brasiliano, ben al di sotto di quelli reali e frutto dell’atteggiamento assunto dal governo di Jair Bolsonaro, prigioniero di una realtà parallela, disegnata dai seguaci dell’astrologo e filosofo della domenica Olavo de Carvalho e popolata da clorochina e immunità di gregge, elementi che ne sanzionano il comportamento doloso, quindi assassino.
La verità, che molti commentatori a queste latitudini si rifiutano di dire con riferimento alla tragedia che le popolazioni indigene stanno vivendo, è che garimpeiros e madeireiros altro non sono che il braccio criminale dell’attuale governo Bolsonaro – specificamente in quota Jair Bolsonaro, Presidente, Hamilton Mourão, Vicepresidente, e Ricardo Salles, Ministro dell’Ambiente (ancora per poco, si spera, alla luce delle indagini in corso da parte della Polizia Federale riguardanti un supposto coinvolgimento del ministro in un traffico internazionale di legname).
Per capire, una volta di più, la postura di Bolsonaro con riferimento alla generale questione indigena è sufficiente considerare una breve dichiarazione rilasciata poco più di un anno fa: il 18 febbraio 2020. In quella occasione il Presidente si incontrò con i rappresentanti indigeni di ventitré comunità, difendendo apertamente la regolarizzazione da parte del Congresso delle attività minerarie e idroelettriche nelle terre indigene.
Con quali argomenti? Lasciamolo dire a lui: “L’indigeno (índio, nell’originale) non può rimanere nella sua terra come se fosse un essere umano preistorico. Lui è uguale a noi, anche loro vogliono poter sfruttare le proprie risorse minerarie, piantare, affittare terre, sfruttare il turismo”. L’indigeno, dunque, non ha che un’unica opzione di vita per l’attuale Presidente brasiliano: vivere nelle proprie terre non secondo la propria cultura, bensì secondo quelli che sono i canoni riconosciuti da una società altra, come può considerarsi quella definibile, in senso lato, col termine ‘occidentale’.
Né più, né meno di quel che succederebbe, se qualcuno andasse a casa di Bolsonaro, imponendogli attività e uno stile di vita tipici di una cultura che non è la sua. Premesso che probabilmente Bolsonaro ci guadagnerebbe, un simile atto non sarebbe meno violento di quello che lo stesso inquilino dell’Alvorada vorrebbe riservare alle popolazioni indigene.
Dietro la patina di falsa eguaglianza, stabilita da quel “lui è uguale a noi”, si nasconde il seme di una ben più cruenta resa dei conti, qualora – come è il caso degli Yanomami o almeno della maggior parte di essi – le popolazioni originarie si rifiutassero di “vivere all’occidentale”, continuando a scegliere la loro cosmogonia, i loro stili di vita, quel loro splendido panteismo con la natura e le sue creature, che molto avrebbe da insegnare al positivismo d’accatto delle tenebrose armate bolsonariste al governo.
Parole, quelle di Bolsonaro, che fanno ripensare al Gilberto Freyre di Casa Grande e Senzala e alla sua confutazione dell’argomento razzista degli indigeni come persone pigre, un pregiudizio ancora oggi diffuso in Brasile, quando, tutto al contrario, si trattava di popolazioni guerriere, per le quali il lavoro ed ogni altro contenuto dell’esistenza dovevano essere declinati secondo totem e tabù completamente alieni da quelli che la società occidentale dell’epoca era solita usare.
Un governo, dunque, che si mantiene sul doppio binario delle misure parlamentari da approvare, imponendo per legge alle popolazioni indigene come devono vivere e di cosa devono vivere, da un lato, mentre, dall’altro, appoggia, se non apertamente nei modi, concretamente nei fini, il proprio braccio criminale, attivo ovunque in Brasile, ma soprattutto in Amazzonia, fatto di cacciatori d’oro e di legnami pregiati pronti a vere e proprie azioni di guerra, pur di appropriarsi di terre che non gli appartengono.
Azioni, che hanno visto aggiungersi un nuovo attore alla guerra in corso in Amazzonia, secondo una escalation, che sembra non avere mai fine: il Primeiro Comando da Capital; la facção criminale oggi predominante non solo in Brasile, ma in tutta l’America del Sud, la cui particolare struttura organizzativa, una sorta di franchising del crimine, e la pressoché infinita disponibilità di fondi da investire hanno portato fin dentro le più interne regioni dell’Amazzonia.
PCC, il quale, come confermato da diverse fonti, si sarebbe insediato nelle terre Yanomami come cellula indipendente, addirittura in funzione, non solo anti-indigena, ma anche anti-garimpeiros bolsonaristi. Uno stato di cose, che rende ancor più sintomatico quel progetto di legge, a cui Bolsonaro tanto tiene, di cui si dette notizia su questo blog poco tempo fa e che ha di mira la milizianizzazione dell’Amazzonia.
“L’uomo della casa di vetro”, invischiato fino al collo con le milizie paramilitari di Rio de Janeiro, milizianizzando le terre indigene con la scusa di difenderle, scambierebbe, di fatto, un gruppo criminale, il Primeiro Comando da Capital, con un altro, le milizie paramilitari. Queste, in tal modo, sarebbero elevate a compiuto progetto politico nazionale, al tempo stesso mantenendo, Bolsonaro, il pacchetto elettorale, tutt’altro che trascurabile, rappresentato dai cacciatori d’oro e di legname. Nel mezzo a pagare il conto, come sempre, le popolazioni indigene, sempre più abbandonate a se stesse, alle epidemie e ad ogni sorta di umano predatore.
IL PCC E IL TREN DE ARAGUA ALL’ATTACCO DELLE TERRE INDIGENE
Il giorno 11 maggio, secondo quanto riportato dal sito indipendente Amazônia Real, un nutrito gruppo di garimpeiros, a bordo di piccole imbarcazioni e armati, si sono avvicinati alla aldeia Yanomami, cominciando a sparare in direzione della stessa e di una piccola unità della Polizia Federale presente.
La comunità Palimi ú, presa di mira da questo nuovo attacco, vive ai margini del fiume Uraricoera, all’interno del municipio Alto Alegre. Ci troviamo sempre nello Stato del Roraima e la dinamica è quella già vista in altre occasioni, con la differenza che questa aggressione è apparsa differente rispetto alle altre sofferte dagli Yanomami negli ultimi anni.
Anche a detta degli uomini della Polizia Federale intervenuti, si tratta di un attacco che presenta elementi nuovi, a partire dal fatto che fino ad oggi i cercatori d’oro mai si erano spinti fino al punto di sparare contro le stesse forze dell’ordine. Da parte loro, i garimpeiros filo-bolsonaristi hanno dichiarato ad Amazônia Real che il conflitto sarebbe stato scatenato, all’inizio, dagli stessi indigeni, aizzati da non meglio precisate ONG internazionali.
Informazione, questa, che lascia perplessi, anche in considerazione dello storico che tali organizzazioni non governative hanno in Amazzonia, spendendosi nella difesa delle varie cause indigene e da sempre avversarie dichiarate del Ministro dell’Ambiente Ricardo Salles, che ha tra i suoi più fedeli sostenitori proprio questi garimpeiros, i quali hanno addossato la responsabilità dell’attacco alla aldeia Palimi ú agli stessi indigeni con dietro la longa manus delle ONG.
Insomma, per capirsi, la difesa della sovranità acima de tudo, per usare un lessico caro all’ottusità bolsonarista, è davvero l’ultimo rifugio delle canaglie. Ciononostante, una cosa interessante i cacciatori d’oro l’hanno detta, confermando la presenza, nelle terre Yanomami, di esponenti delle facções criminali, tanto brasiliane come provenienti dal vicino Venezuela.
Nello specifico, l’organizzazione criminale venezuelana interessata alle ricchezze minerarie indigene sarebbe il Tren de Aragua in collaborazione col Primeiro Comando da Capital. Anche in questo caso, come per ciò che concerne il PCC e il Comando Vermelho, le origini di questa gang sono da ritrovarsi in un carcere, quello di Tocorón, che, stando alle informazioni riportate da Insight Crime, ancora rappresenta la sua enclave assieme a San Vicente, località posta a sudest nello Stato venezuelano di Aragua.
I Los Pranes mandano ordini dalle varie prigioni del Venezuela, che vengono eseguiti e a volte integrati dalle varie pandillas presenti sul territorio. Il Tren de Aragua rappresenta, dunque, la sintesi di queste due differenti strutture criminali. Differenti, ma unite da obiettivi che sono i medesimi. Nonostante le dimensioni siano inferiori rispetto al PCC, parimenti si contano più di 2.700 membri di questa megabanda, stanziati in varie regioni del Venezuela, ma installati soprattuto nello Stato di Aragua, da cui prendono il nome.
La recente espansione e la struttura organizzativa assai flessibile dei membri del Tren de Aragua ne ha permesso una rapida espansione in direzione di Paesi confinanti, quali il Brasile. Qui, proprio nel Roraima, la gang venezuelana aveva stabilito il suo quartier generale. Secondo quanto riferito nel 2019 dal portale giornalistico UOL, la base delle operazioni era tra la città venezuelana di Santa Elena e Pacaraima, città brasiliana situata nell’estremo nord del Roraima.
Gli integranti del Tren de Aragua, conosciuti anche come “pranatos”, perché legati al “pran” del carcere di Tocorón presso Aragua, sono presenti, come forza colonizzatrice, alle frontiere, secondo uno stile che abbiamo visto essere un tratto comune anche delle più articolate organizzazioni criminali brasiliane, quali il Primeiro Comando da Capital e il Comando Vermelho.
Più che il numero di integranti, ciò che più mette in allarme, riguardo al Tren de Aragua, è la sua abilità nello stabilire alleanze con altri sodalizi criminali, anche in virtù degli appoggi istituzionali di cui beneficerebbe in Venezuela, in particolare negli apparati di sicurezza, come riporta Insight Crime.
Colonizzazione delle frontiere e capacità associativa, i quali hanno portato il Tren de Aragua non solo a stabilire alleanze con vari attori criminali sudamericani, ma ad arrivare ad affiliarsi alle organizzazioni di questi ultimi, come accaduto con il Primeiro Comando da Capital. Concreto luogo di incontro, dove simili accordi sono stati stipulati, sono le deficitarie, sotto ogni punto di vista, prigioni, tanto dal lato brasiliano come da quello venezuelano.
I singoli punti di questi accordi sono i soliti di sempre di ogni organizzazione criminale: dalla droga alle armi, con l’aggiunta delle terre indigene, già prese di mira da tempo, ma che adesso rischiano di essere travolte da una ulteriore, per quanto non inattesa, nuova escalation criminale, frutto, appunto, della convergenza di interessi tra Primeiro Comando da Capital e Tren da Aragua.
Nel Roraima, la storia dei cercatori d’oro d’assalto data almeno dagli anni ’70, avendo attirato in queste terre ogni tipo di umanità alla ricerca di fortuna e denaro facile. Il salto, sotto il profilo dell’economia criminale presente in questa regione, è invece storia recente e comincia a partire dai trasferimenti da una prigione all’altra di affiliati a gruppi criminali già radicati (come il Comando Vermelho, la cui fondazione risale al 1979, presso la Ilha Grande a Rio de Janeiro) ed è storia connessa al traffico di sostanze stupefacenti, che qui, nelle zone di frontiera, ha il suo punto di origine, essendo un mercato di atacado (acquisti e vendite all’ingrosso) e non di varejo (acquisto e vendite al dettaglio) come nelle favelas.
A differenza di uno Stato come lo Acre, dove la presenza del Comando Vermelho è ancora largamente predominante in tutto lo Stato e in particolare alle frontiere con la Bolivia e il Perù, nel Roraima la scena è stata progressivamente occupata dal PCC, la cui estrema capacità di adattamento al contesto nel quale ogni volta si trova ad agire, ne ha fatto il partner ideale per una organizzazione, che in larga parte gli somiglia, come il Tren de Aragua.
Nel massacro di 33 persone avvenuto nella prigione Penitenciária Agrícola di Monte Cristo nel 2017 possiamo individuare l’ideale atto di fondazione di questa alleanza criminale tra Primeiro Comando da Capital e Tren de Aragua, considerando la concomitante presenza in questo carcere di soggetti appartenenti alle due organizzazioni.
Un’alleanza, che si è tradotta in una decisa alterazione della geografia criminale all’interno dello Stato, costellato, a partire almeno dal 2018, da decine di azioni criminali, con attacchi armati a sedi istituzionali, comprese agenzie bancarie – ciò che rappresenta una sorta di marchio di fabbrica del PCC – commissariati della Polizia Militare, in particolare nella capitale Boa Vista, oltre ad un deciso aumento del traffico di sostanze stupefacenti transitanti alla frontiera tra Brasile e Venezuela.
Tutto fa pensare che la convergenza di interessi, tesi a legare queste due strutture criminali, abbia quasi imposto una ricollocazione delle stesse con una conseguente estensione dei propri interessi nella regione. Di qui, l’attenzione rivolta alle terre indigene, che, considerando altri possibili investimenti più rischiosi, rappresenta un obiettivo facile da raggiungere, principalmente a causa delle evidenti carenze in termini di difesa offerta alle sue comunità da parte del Governo Federale.
Per quanto, infatti, i garimpeiros di lunga data siano considerabili alla stregua di criminali comuni, proprio per questo non dispongono delle stesse capacità organizzative e di azione di coloro che fanno parte di una facção. Le stesse testimonianze rilasciate ad Amazônia Real da alcuni poliziotti federali confermano non solo la presenza nelle terre Yanomami della criminalità organizzata, ma che questa penetrazione è cominciata all’incirca tre anni fa, ossia nel 2018, anno nel quale prende avvio l’escalation di violenza del PCC nel Roraima.
Sempre secondo quanto riportato dal portale giornalistico, stando a quanto dichiarato da un garimpeiro, la presenza del PCC sarebbe ormai capillare nelle terre Yanomami, al punto che suoi integranti controllerebbero i punti di risalita dei fiumi, esigendo un pedaggio. Una situazione fuori controllo supportata anche dalle parole di un secondo garimpeiro, il quale ha confermato che il PCC domina i territori posti al di sotto del fiume Uraricoera e della regione dello Alto Parima.
Regioni, che rappresentano delle vere mine di oro e che si trovano stabilmente nelle mani del Primeiro Comando da Capital, inclusa la presenza di vari macchinari destinati all’estrazione del prezioso minerale. Oggi nessun garimpeiro – conclude – può permettersi di andare in quelle zone e lavorare senza il permesso della facção.
Un intensificarsi della presenza del crimine organizzato, che, non solo rischia di rendere la situazione ancora più invivibile – per le comunità indigene che abitano le terre prese di mira dalla ibrida fazione criminale formata sull’asse Roraima-Aragua – ma che potrebbe avere sviluppi incalcolabili.
Al contrario degli obiettivi dei garimpeiros tradizionali, quelli del PCC e del Tren de Aragua sono al momento sconosciuti. Sempre stando a quanto dichiarato da un altro garimpeiro intervistato da Amazônia Real, le due organizzazioni criminali avrebbero in mente addirittura l’espulsione degli Yanomami dalle loro aldeias e prima ancora la sostituzione dei loro attuali leader.
Un progetto coerente con le capacità organizzative delle due strutture criminali chiamate a metterlo in pratica, reso ancor più grave da quei legami, più che presunti, che il Tren de Aragua avrebbe con le forze di sicurezza venezuelane e dal fatto, recentemente riportato sulle colonne di El País da Gil Alessi, secondo il quale questa cooperazione tra malavita brasiliana e venezuelana si è approfondita al punto di ricevere, gli integranti della gang di Aragua, il battesimo, rito per mezzo del quale il Primeiro Comando da Capital sanziona l’ingresso di nuovi membri tra le proprie fila.
Alla luce dei recenti fatti accaduti nelle terre indigene Yanomami, tutto lascia pensare che questa connessione venezuelana con elementi stranieri battezzati come irmãos possa segnare l’avvio di una nuova stagione criminale, focalizzata sul rafforzamento della colonizzazione della frontiera tra Venezuela e Brasile, dopo avere stabilmente occupato quella con la Colombia, a nord, e a sud quella col Paraguay; sempre tenendo nel mirino lo Acre e le sue redditizie frontiere con Bolivia e Perù, dove, al momento, la presenza del PCC è assimilabile a quella di un gregario, in ciò confermando la sua struttura camaleontica adattabile a seconda dei contesti.
La ratio dietro questo assalto delle mafie sudamericane alle terre indigene consisterebbe in una nuova iniziativa imprenditoriale basata sull’occupazione di questi territori e sulla sostituzione o eventualmente alleanza, nello stile plata o plomo, con gli attuali garimpeiros bolsonaristi in una corsa all’oro assassina, che segnerebbe l’inizio di dinamiche criminali, la cui evoluzione, anche in ragione delle scelte che verranno poste in essere dal Governo Federale, potrebbe detonare in scenari ancora più devastanti degli attuali per i popoli originari, che vivono alle estremità del fiume Uraricoera nello Alto Alegre.
LA SPERANZA DI UN ACCORDO
Nonostante la situazione sia grave per quanto concerne la tutela dei popoli tradizionali, in particolare quelli indigeni e isolati come gli Yanomami, vi è un Brasile assai migliore del suo attuale Esecutivo, la cui fiamma arde sotto la cenere di questo governo oscurantista e imbecilliscamente antimoderno.
Al 6 maggio di questo anno risale l’accordo tra il Ministero Pubblico Federale (MPF) e l’Agenzia Tedesca di Cooperazione (GIZ) nella cornice del progetto per la cooperazione tecnica Agenda 2030: Contribuzione per l’Implementazione del Principio ‘Non lasciare indietro nessuno’, avente come obiettivo la protezione socio-ambientale e la difesa dei popoli e delle comunità tradizionali (Povos Indígenas, Quilombolas, Seringueiros, Castanheiros, Quebradeiras de coco-de-babaçu, Comunidades de Fundo de Pasto, Catadoras de mangaba, Faxinalenses, Pescadores Artesanais, Marisqueiras, Ribeirinhos, Varjeiros, Caiçaras, Povos de terreiro, Praieiros, Sertanejos, Jangadeiros, Ciganos, Pomeranos, Açorianos, Campeiros, Varzanteiros, Pantaneiros, Geraizeiros, Veredeiros, Caatingueiros, Retireiros do Araguaia, fra gli altri).
Il progetto, come già accennato, costituisce un contributo per la realizzazione degli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile (ODS) dell’Agenda 2030 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e sarà coordinato dalla Segreteria per la Ricerca, Perizia e Analisi (SPPEA), dalla Camera delle Popolazioni Indigene e delle Comunità Tradizionali (6CCR) e dalla Segreteria per la Cooperazione Internazionale (SCI).
Gli investimenti attesi sono superiori ai due milioni di euro e saranno destinati al Ministero Pubblico soprattutto per lo “sviluppo di una piattaforma, che impiegherà il georeferenziamento per riunire e rendere disponibili, in forma interattiva, informazioni provenienti da diverse fonti concernenti le aree abitate dai popoli e dalle comunità tradizionali in tutto il Brasile”.
Si tratta di uno strumento di importanza primaria al fine di svolgere un’analisi delle aree occupate e sulle necessità dei gruppi tradizionali che le abitano. La ratio espressa da questo progetto consiste nell’avvicinare la società civile brasiliana alle comunità tradizionali e alle loro esigenze, il tutto all’insegna dell’imprescindibile elemento del rispetto dei diritti umani.
Come sottolineato da Wilson Rocha, procuratore della Repubblica, che seguirà da vicino lo sviluppo di questo progetto, “accanto alle altre istituzioni partner del progetto, in particolare il Consiglio Nazionale dei Popoli e delle Comunità Tradizionali (Conselho Nacional de Povos e Comunidades Tradicionais), speriamo di consolidare la Piattaforma dei Territori Tradizionali come uno strumento atto a prevenire la violazione dei diritti fondamentali e garantire una migliore comprensione della situazione fondiaria delle popolazioni tradizionali”.
Tra i principali beneficiari di questo progetto vi sono i popoli e le comunità tradizionali, che vivono in zone soggette a forti minacce di disboscamento e più in generale di vulnerabilità socio-ambientale, nei cui territori, in modo precipuo, saranno realizzate le azioni connesse all’accordo tra Ministero Pubblico e Agenzia Tedesca di Cooperazione. La prima di queste azioni consisterà, pertanto, in una definizione, in termini geografici, dei territori, dove sono presenti situazioni di maggiore vulnerabilità socio-ambientale per quanto concerne popolazioni e comunità tradizionali.
Iniziative come questa rappresentano, forse, una goccia nell’oceano, sempre ricordandoci, però, di come ogni fiume e ogni mare siano, da ultimo, l’unione di una infinità di gocce. Come ha scritto nel suo profilo Twitter l’ambasciatore tedesco in Brasile, Heiko Thoms: “Proteggere le popolazioni indigene e tradizionali significa garantire i diritti umani e rafforzare coloro che più si prendono cura delle foreste e della biodiversità”.
I guardiani delle foreste, appunto, come gli Yanomami del Roraima lo sono della loro parte di Amazzonia, in rappresentanza e in difesa dell’umanità tutta che incarnano.
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