L’immenso territorio dell’America Latina, a causa delle sue democrazie fragilizzate da personalità politiche iconoclaste e dalla loro stessa architettura istituzionale, spesse volte altamente imperfetta, sembra farsi ogni giorno più poroso e in quanto tale esposto alle mire di organizzazioni criminali e finanche terroristiche.
Questo è il caso che concerne la cosiddetta Triplice Frontiera, la terra di mezzo, che collega in una maniera geograficamente assai suggestiva Brasile, Paraguay e Argentina. Una terra di mezzo, che è punto di incontro di moltissimi traffici, alcuni legali, altri che soltanto sembrano legali, altri, infine, che cominciano e finiscono di forma illegale. Dal lato brasiliano, ma con significative propaggini nel Paraguay, la Triplice Frontiera, da anni, sta passando per una ristrutturazione delle sue complesse articolazioni criminali mediante un processo di globalizzazione segnato dalla repentina crescita di un nuovo attore criminale, il Primeiro Comando da Capital, dai più conosciuto con la sigla PCC.
All’inizio, in realtà, questo processo di globalizzazione ai confini del Brasile era cominciato con l’altra grande sigla del narcotraffico, radicata a Rio de Janeiro, il Comando Vermelho. L’intuizione era stata di Fernandinho Beira-Mar, personalità complessa, più simile ad un solitario stratega del crimine organizzato che non a un fedele appartenente alla facção carioca.
Fernandinho Beira-Mar, ancor prima di Marcola e del PCC, vide che i grandi traffici passavano dal dominio delle frontiere, assumendo la postura non più del varejista – che vende anche grandi quantità di sostanze stupefacenti, ma pur sempre “giocando di rimessa” -, bensì andando alla fonte, abbattendo i costi, comprando direttamente con i fornitori, dunque assumendo la ben più remunerativa postura dell’atacadista, di colui che compra all’ingrosso e vende alle piccole e grandi “bocche” sul territorio e anche alla concorrenza, se necessario.
Fernandinho Beira-Mar, al contrario di quello che molti erroneamente scrivono, non è mai stato la cuspide del Comando Vermelho in termini di potere posseduto, mentre è stato di gran lunga il trafficante più ricco della fazione carioca proprio per questa sua spiccata vena imprenditoriale, per mezzo della quale, in tempi non sospetti, colse le potenzialità criminali connesse alla Triplice Frontiera.
Questa, però, non è la descrizione della parabola di Fernandinho Beira-Mar e nemmeno di quella legata al nome di Marcola o alle recenti dinamiche, che hanno portato la facção di São Paulo, il PCC, e i suoi irmãos ad assumere progressivamente il controllo della maggior parte delle frontiere brasiliane, in particolare quella che separa la città brasiliana di Foz do Iguaçu dalla paraguaiana Ciudad Del Este, malgrado la presenza in loco di altri potenti attori criminali, quali, per esempio, El Clan Rotela.
Quel che si vuole cercare di capire, almeno in una forma iniziale, è se sotto il cielo della Triplice Frontiera, accanto alle organizzazioni già citate, operi anche una formazione come la libanese Hezbollah e in che modo e con quali connessioni questo avvenga. Alla luce della molta bibliografia disponibile sul tema, il tentativo è quello di offrire una prima riflessione intorno a questa assai sfaccettata questione, rimandando ad ulteriori approfondimenti altre e magari più circostanziate considerazioni.
Il tema legato alla presenza di Hezbollah sulla Triplice Frontiera, alle sue possibili connessioni criminali e più ancora alla qualità di queste connessioni mantiene un grado di difficoltà di interpretazione molto alto, sostanzialmente dovuto al fatto che, come spesso accade nelle questioni geopolitiche, l’ambito della plausibilità non si sposa, almeno non completamente, con quello delle prove a supporto di una determinata tesi.
A partire dagli attacchi alle Torri Gemelle nel 2001, pur con significativi addentellati con altri sanguinosi attentati accaduti in precedenza in Argentina, le analisi di Washington sono tornate a concentrarsi sulla Triplice Frontiera, producendo a questo riguardo varie relazioni, tese a trasformare questo spazio in una sorta di silenzioso ricettacolo di terrorismo, in connessione con traffici illegali di ogni specie, vedendo in Hezbollah, e parzialmente in Hamas, le due organizzazioni maggiormente attive nella regione.
Secondo la relazione “Modelli di Terrorismo” della Divisione per i Programmi Internazionali di Informazione del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, la Triplice Frontiera costituisce una sorta di terra di nessuno, dove “oltre al traffico di droga e di armi, contrabbando e falsificazione di documenti e denaro, riciclaggio di denaro e contraffazioni di prodotti di marca (…), è anche conosciuta come punto di transito delle attività di Hezbollah e di Hamas” (Talavera 2008, p. 117).
Nel dettaglio, tuttavia, non si faceva menzione di quali sarebbero gli elementi di contatto, né le singole fattispecie, che fungerebbero da connessioni con i due gruppi arabi richiamati. Come vedremo, è questo il punto di maggiore criticità di ogni lettura tesa a riconnettere Hezbollah al territorio della Triplice Frontiera. Una connessione più che plausibile, ma che, ad oggi, sembra ancora alla ricerca di un consolidamento al di sopra di ogni ragionevole dubbio, sebbene il quadro accusatorio nei confronti del cosiddetto Clan Barakat sembri essere ben delineato.
Talavera ritiene che questi dossier, preparati da Washington, metterebbero insieme elementi in realtà disconnessi, quali il terrorismo e le varie pratiche criminose effettivamente praticate all’altezza della Triplice Frontiera, finendo, di fatto, per squalificare internazionalmente l’immagine di questo territorio. Personalmente, non mi spingerei così lontano, tuttavia, rimarcando come le analisi su un tema tanto delicato debbano essere per forza di cose chirurgiche e il più dettagliate possibile.
Per esempio, è vero che due città di frontiera come Foz do Iguaçu e Ciudad Del Este hanno una altissima concentrazione di differenti comunità musulmane e risulta essere assai plausibile il fatto che singoli individui possano finanziare le attività di Hezbollah, alcuni magari anche a partire da differenti considerazioni, essendo il Partito di Dio anche una formazione politica a tutti gli effetti e non da tutti i Paesi, tra questi il Brasile, riconosciuta come organizzazione terroristica.
Differente sarebbe il caso di una presenza sulla Triplice Frontiera di soggetti facenti parte o comunque riconducibili a Hezbollah in affari col Clan Rotela, col Comando Vermelho o con il Primeiro Comando da Capital, solo per citare le tre organizzazioni criminali più rilevanti, che operano nella regione. In questo caso, si tratterebbe del riconoscimento di un network criminale, che trasborderebbe ben oltre i confini dell’America Latina e dell’Europa, trasformandosi in una rete, le cui propaggini assumerebbero un profilo realmente globalizzato.
In un altro dossier, risalente al 2003, dunque sempre successivo ai fatti dell’11 settembre, preparato dalla Federal Research Division della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, si rafforza la tesi già menzionata della Triplice Frontiera come ricettacolo di minacce terroristiche su scala mondiale. In questa relazione si risale indietro nel tempo, all’inizio degli anni ’80, quando migliaia di terroristi sarebbero stato inviati nella “regione quasi inaccessibile, fatta di selva e montagne (sic!) tra Brasile, Argentina e Paraguay (conosciuta come Triplice Frontiera)”. Qui, sempre secondo questo documento, “furono creati campi per preparare terroristi e depositi di armi, virtualmente posti fuori dal raggio d’azione delle autorità legali locali o dalle forze armate dei singoli Paesi” (Talavera 2008, p. 118).
La descrizione della situazione sulla Triplice Frontiera si concludeva nel segno del sempre reiterato pregiudizio nei confronti di questa particolare area geografica, segnalando la presenza sul posto, già all’epoca, di “elementi di Hezbollah”, assieme ad altri organizzazioni terroristiche, “in connessione con esponenti del crimine organizzato locale e rappresentanti corrotti”. Ciò che salta agli occhi nel caso di questo dossier è la sciatteria, anche solo geografica, con il quale è stato preparato, non essendo presente, nell’area della Triplice Frontiera, alcuna zona montagnosa, men che meno di dimensioni e altezza tali da permettere la creazione di campi di allenamento per terroristi.
Volendo essere maliziosi, visto che abbiamo richiamato gli anni ’80, possiamo dire che, sebbene non all’inizio bensì nella seconda metà, vi era chi allenava forze paramilitari un po’ più a nord, dalle parti di Puerto Boyacá, in Colombia, ma non era un terrorista islamico, quanto una figura di connessione tra mondo legale e submondo criminale, che rispondeva al nome di Yair Klein. Ma questa è un’altra storia…
Ciò che sembra emergere, in tutta questa tortuosa vicenda legata alla frontiera tra Brasile, Argentina e Paraguay, sono appena brandelli di verità, i quali sempre finiscono per entrare in rotta di collisione con interessi geopolitici considerevoli, soprattutto di sponda statunitense. In un articolo apparso sulla versione brasiliana del National Geographic, nel novembre del 2005, si legge come l’Ambasciata USA, alla data dell’articolo, si fosse mostrata preoccupata, con riferimento allo spazio della Triplice Frontiera, per il fatto di transitarvi “un’enorme quantità di denaro, proveniente da attività illegali e destinato ad essere inviato in Medio Oriente” (VIEIRA, André, Tempero Árabe, National Geographic, novembre 2005).
Una posizione, almeno in parte, in continuità con quanto espresso da Washington, era offerta dall’intelligence brasiliana, la quale riferiva che non vi era alcun indizio della presenza di cellule terroristiche nella regione. Posizione interessante, perché non escludeva l’enorme flusso di denaro verso il Medio Oriente e nemmeno che qualcosa potesse non quadrare in questo link tra Triplice Frontiera e Paesi arabi, ma escludeva la presenza di unità terroristiche attive sul territorio.
Sullo sfondo, anche di questi posizionamenti, continuava ad aleggiare il possibile incastro sulla Triplice Frontiera di organizzazioni, se non esclusivamente terroristiche, comunque sia aventi un carattere ibrido e dedite, tramite una vasta rete di affiliati/collaboratori sul territorio, al riciclaggio di importanti somme di denaro da inviare in Medio Oriente.
Stando al lavoro di Arthur Bernardes do Amaral, dedicato alla Triplice Frontiera e alla conseguente Guerra al Terrore, che ha fortemente orientato l’azione delle ultime amministrazioni statunitensi, la presenza di un gran numero di cittadini di origine araba cominciò tra Foz do Iguaçu e Ciudad Del Este verso la fine degli anni ’60, provocata in massima parte dalla serie di conflitti che, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, interessò vari territori mediorientali.
Alla data del 2006, la regione conosciuta col nome di Triplice Frontiera contava all’incirca 18.000 persone di origine araba, con una netta prevalenza libanese, il 90%, mentre il resto erano in massima parte individui di origine siriana, egiziana, palestinese e giordana. Amaral, poco propenso a credere alla presenza di cellule terroriste sulla Triplice Frontiera, propone la suggestiva teoria secondo la quale il “mito” di Hezbollah in America Latina sarebbe stato creato a partire dal luogo di origine di una parte degli immigrati libanesi, la Valle del Bekaa, e dal fatto di questi inviare periodicamente ingenti somme di denaro in Libano; elementi, che avrebbero portato le autorità antiterrorismo statunitensi su una falsa pista (AMARAL, Arthur Bernardes do, A Tríplice Fronteira e a Guerra ao Terror: dinâmicas de constituição da ameaça terrorista no Cone Sul, Carta International, ottobre 2007, p. 43).
Pur essendo Amaral un brillante studioso del tema, questa lettura “in sottrazione”, nonostante abbia il pregio di non prestare il fianco a sovrastrutture di vago sapore cospirazionista, al tempo stesso sembra semplificare un problema, che, a tutta prima, appare più articolato, rendendo addirittura più sintomatico, direi, ciò che rappresenta la linea ufficiale di Washington sul tema.
Da ultimo, se non tutto, molto passa per la lente mediante la quale guardiamo ad una realtà stratificata come è Hezbollah. Perché è altamente probabile che tra i moltissimi immigrati di origine libanese, che popolano il vasto spazio della frontiera, ve ne siano anche alcuni legati al Partito di Dio e che, di forma lecita (e magari anche illecita), lo finanzino.
Ciò che voglio dire è che ci muoviamo su confini estremamente labili, i quali, però, permettono di riconoscere la differenza tra uno schema strutturato di riciclaggio di denaro da destinarsi al finanziamento di un gruppo come Hezbollah e con la decisiva partecipazione del gotha del crimine organizzato presente sulla Triplice Frontiera, dal PCC al Clan Rotela, e un sistema di rimesse di denaro sostanzialmente individuale, che possa riguardare anche somme ingenti, di forma costante e in una certa misura anche di origine illecita. Nella prima ipotesi occorrerebbe intervenire in modo mirato ed efficace per smontare un qualcosa di complesso, nel secondo si tratterebbe di mettere in pratica interventi circoscritti, trovandoci di fronte ad uno stato di cose, che, ove constatata l’illegalità, sarebbe, comunque, più contenuto.
Al contrario, negli studi sulla presenza di Hezbollah nel territorio della Triplice Frontiera sembra perdersi spesso di vista il dato di realtà, a tutto vantaggio di proiezioni ideologizzate, volta a volta pendenti da una parte o dall’altra (latinoamericana, avente sullo sfondo la questione della sovranità, o filo-statunitense, che pure interessa la medesima questione). Questo manicheismo nella lettura dei reali rapporti di forza coinvolgenti la Triplice Frontiera viene a costituire un potente freno al pieno dispiegamento delle singole tesi esposte.
Se è vero che questo assai peculiare spazio non è assimilabile ad un ridotto dell’Inferno del tutto privo di leggi e di qualsivoglia autorità statale riconosciuta, va pur detto che i mercati illeciti e le organizzazioni del crimine organizzato che, entro i suoi territori, hanno trovato e trovano spazi d’azione sempre più ampi, rappresenta una minaccia per gli stessi interni equilibri socio-politici dei tre Paesi coinvolti: Brasile, Argentina e Paraguay.
Detto questo, la connessione tra Hezbollah, intorno a cui esiste un ampio dibattito sul fatto se sia un partito politico dotato di un braccio armato o meramente un gruppo terrorista, e Triplice Frontiera ha, sotto il profilo cronologico, un punto di inizio, una leggera flessione e una nuova risalita, facilmente individuabili.
Nonostante l’interesse di agenzie e organizzazioni di sicurezza internazionali nei confronti dell’area compresa tra Brasile, Argentina e Paraguay possa rintracciarsi sin dai primissimi anni ’90, parimenti è con gli attentati del 1992 contro l’Ambasciata israeliana e del 1994 contro l’associazione israelita AMIA, entrambi avvenuti a Buenos Aires, che comincia a prendere corpo, anche sotto l’input del governo argentino dell’epoca guidato da Carlos Menem, quello della politica pizza e champagne per capirci, l’idea che dietro gli attentati vi fosse la longa manus di Hezbollah, i cui integranti avrebbero sfruttato la Triplice Frontiera come sicuro rifugio per pianificare gli attacchi.
Fernando Rabossi nel suo pionieristico lavoro del 2004 Per le strade di Ciudad Del Este: vite e vendite in un mercato di frontiera (Nas ruas de Ciudad Del Este: vidas e vendas num mercado de fronteira), dedica un paragrafo assai significativo alle posizioni comunemente espresse e accettate sulla Triplice Frontiera e in particolare su Ciudad Del Este: Visioni di un luogo maledetto.
In aperta contrapposizione con le analisi di Robinson, Bartolomé o, più recentemente, Moisés Naím, Rabossi si sofferma su quelli che sarebbero i reali problemi riconducibili alla frontiera e a Ciudad Del Este. Qualora il problema, come registrato da vari studiosi, sia riconosciuto nell’assenza dello Stato e delle sue leggi, sarà necessario vedere quanto fondata sia questa tesi. E qui, osserva Rabossi, cominciano i problemi.
Diciassette istituzioni paraguaiane, infatti, sono localizzabili alla fine del Ponte dell’Amicizia, punto di confine che separa Brasile e Paraguay. La sede della Agenzia delle Entrate (Receita Federal) brasiliana di Foz do Iguaçu è una delle più grande e attrezzate di tutto il Brasile. Anche con riferimento all’Argentina – continua Rabossi – il ponte Tancredo Neves risulta essere uno dei punti di controllo più rigorosi del Paese. A quanto detto, si aggiunga che autorità e funzionari statali lavorano in costante sinergia, su ognuno dei tre lati, con le forze armate e di polizia di ognuno dei tre Paesi e con varie agenzie di intelligence tanto straniere quanto locali (Rabossi 2004, p. 26).
La stessa DEA opera in questa area addirittura dagli anni ’80 come pure è andata sensibilmente migliorando, nel corso del tempo, la collaborazione tra le polizie dei tre Paesi e in particolare quella tra le polizie di Brasile e Paraguay. Elementi, quelli richiamati, cui si potrebbe obiettare, a ragione, che una massiccia presenza di organi di controllo e di sicurezza non è garanzia di maggiore legalità all’interno di un dato territorio e più ancora in uno spazio quale quello della Triplice Frontiera, dove, da più parti, sono segnalati casi di una corruzione, che definirei strutturale.
Anche sotto questo rispetto, però, va registrato l’atteggiamento di comprovata ambiguità mantenuto dalle varie amministrazioni statunitensi e dai suoi molteplici think tank con riferimento agli incentivi destinati alle imprese americane per lavorare a Ciudad Del Este, secondo quanto pubblicato nel documento USATRADE 2001 (Rabossi 2004, p. 27), il cui indirizzo di fondo è stato confermato nell’Investment Climate Statements 2017 e nei due ultimi Notorious Markets Report e Special 301 Report, entrambi del 2020.
In altre parole, mentre, da un lato, lo spazio della Triplice Frontiera viene venduto al grande pubblico e ai mass-media come una sorta di avamposto latinoamericano del terrorismo internazionale, dall’altro, si continuano ad offrire lauti incentivi agli imprenditori nordamericani, invitandoli a rimanere o a investire nella grande “zona grigia” (la definizione è dello storico argentino Bartolomé) di Ciudad Del Este, fianco a fianco, non solo con narcos di ogni risma, ma anche con fondamentali pedine del terrorismo internazionale.
Un carattere ondulatorio con riferimento alla possibile presenza di cellule o finanziatori di Hezbollah sulla Triplice Frontiera, che emergeva anche dai Patterns of Global Terrorism del 2001, suggerendo, una volta di più, l’impressione di trovarci davanti a un fuoco incrociato di opposte narrazioni, che sembrano valere quasi come un invito a sospendere, al presente, qualunque giudizio riguardante le possibili connessioni tra gruppi terroristi internazionali e questa caotica area del Cono Sur.
Nel PGT del 2001 si constatava l’impegno del Paraguay, anche oggi principale alleato degli USA nella regione, nella detenzione di individui sospettati di aiutare gruppi da Washington riconosciuti come terroristi, quali Hezbollah, in stretta collaborazione con Argentina, Brasile e Uruguay anche mediante la condivisione di informazioni.
Il dossier menzionava l’attività svolta dal Brasile nelle indagini riguardanti call center situati nella zona della Triplice Frontiera, da cui sarebbero partite, si legge, “chiamate verso numerosi Paesi del Medio Oriente”. Diciamo che come intelligence non c’è male, considerando che parliamo di un territorio che raggruppa la seconda maggiore comunità di origine araba di tutta l’America del Sud.
Le cose miglioravano un poco, quando il documento tornava a parlare del Paraguay, anche qui, tuttavia, riportando alla luce il carattere bifronte associato ad ogni tipo di indagine tesa a mostrare possibili collegamenti tra soggetti e gruppi residenti tra Ciudad Del Este e Foz do Iguaçu e organizzazioni come Hezbollah o anche Hamas. Questo soprattutto per il sistema di invio informale di denaro, lo hawala (in arabo ‘invio’) per mezzo di hawaladars (coloro che praticano l’attività della hawala, di fatto, corrieri di denaro), i quali, come anche le stesse autorità statunitensi riconoscono, sono soggetti assai difficilmente controllabili e ancor meno criminalizzabili.
Questo denaro, infatti, può tanto andare a finanziare gruppi terroristi come servire di ausilio alla vita di altre persone in Libano o in qualche altro Paese arabo. Pertanto, di nuovo, ambiguità che si aggiunge ad ambiguità. Ciononostante il PGT rimarcava come da parte del Paraguay si fosse finalmente dato “un giro di vite alle frodi di visti e passaporti”, i quali, però, sono tra i reati più comuni in un territorio di frontiera semplice, figurarsi se le frontiere riguardano tre Paesi distinti…
Da ultimo, la sola informazione presente nel dossier davvero degna di nota erano gli arresti di alcuni soggetti ritenuti vicini a Hezbollah, dove spiccava il nome di Assad Ahmad Barakat, generalmente ritenuto dagli organi di informazione in lingua inglese, spagnola e portoghese, uno dei terminali criminali, assieme a Mahmoud Ali Barakat, al servizio di Hezbollah sulla Triplice Frontiera.
Sebbene la figura di Assad Ahmad Barakat sia piuttosto difficile da decifrare, ben incarnando l’ambiguità di fondo di tutta questa storia legata alla Triplice Frontiera, vale risaltare il fatto che nessuna condanna, che lo ha riguardato dal 2001 ad oggi, è riferita a suoi presunti legami col libanese Partito di Dio. Ciò non significa che le accuse, che da più parti piovono nei suoi confronti, siano infondate, tuttavia, il profilo criminale attribuitogli stride non poco con una condanna a sei anni in Paraguay per evasione fiscale ed un’altra, sempre in Paraguay, da dove nel 2018 è stato espulso, per uso di documenti falsi.
Differente è il caso di Mahmoud Ali Barakat, altro esponente del cosiddetto Clan Barakat, il cui profilo criminale ha fatto un cospicuo balzo in avanti dal 2018 ad oggi. Al mese di giugno di quell’anno risale la sua prigione in Paraguay per riciclaggio di denaro, a luglio l’avvio dell’indagine per riciclaggio di denaro nei casinò di Puerto Iguazu e il relativo congelamento di beni e denaro dei Barakat in Argentina, nel mese di agosto si è avuta la scoperta del passaporto illegale rilasciato ad Assad Ahmad Barakat in Paraguay, con relativo trasferimento e prigione, a settembre, in Brasile. Infine, a ottobre 2018 è avvenuta l’estradizione di Mahmoud Ali Barakat negli USA, dove è in attesa di giudizio per riciclaggio di denaro, in particolare, risaltano gli inquirenti, quello proveniente da possibili contatti con i gruppi criminali attivi nella regione e dediti ad attività legate al narcotraffico.
Sul Clan Barakat e sulle accuse mosse soprattutto nei confronti di Mahmoud Ali Barakat torneremo a parlare su questo blog, anche cercando di mostrare quali potrebbero essere i generali contraccolpi nella regione, qualora aumentasse la pressione esercitata da Washington, principalmente tramite il Paraguay, alleato di ferro degli Stati Uniti sulla Triplice Frontiera.
Ciò detto, è da sperare che le eventuali condanne, che saranno comminate a carico dei Barakat, non si trasformino in una rinnovata stigmatizzazione della laboriosa e pacifica comunità islamica compresa tra Foz do Iguaçu e Ciudad Del Este.
Come riconobbe lo stesso ammiraglio James Stavridis, all’epoca a capo delle forze armate statunitensi nell’America del Sud, durante un pronunciamento al Congresso nel 2007: “(…) in ogni caso, la mia idea è che la maggior parte di queste persone (di origine musulmana, che vivono sulla Triplice Frontiera) stanno vivendo in pace, tentando di integrarsi all’interno della società del Paese, nel quale vivono”. Stavridis, per altro verso, riteneva altamente plausibile la possibilità di legami tra alcuni esponenti della comunità di origine islamica sulla Triplice Frontiera e organizzazioni da Washington considerate terroristiche.
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