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Dove sono Dom Phillips e Bruno Pereira? 

by | Jun 10, 2022 | Brasile, Colombia, Perù | 0 comments

Da giorni, ormai, Esercito, Marina e Funai (Fondazione Nazionale Indigena) sono alla ricerca dell’indigenista brasiliano Bruno Araújo Pereira e del giornalista inglese, collaboratore del The Guardian, Dom Phillips. Entrambi sono spariti nel nulla nel pomeriggio di domenica (5 giugno) nella Valle del Javari, nello Stato di Amazonas, alla frontiera con il Perù. Un territorio, questo, marcato per l’alto tasso di crimini ambientali e la sempre più pervasiva presenza di organizzazioni criminali, principalmente il carioca Comando Vermelho, quel che resta dell’autoctona Família do Norte e una facção, anch’essa autoctona, nata l’anno passato da una scissione interna alla FDN: Os Crias

Le piste seguite dagli inquirenti, le cui ricerche sono cominciate con un colpevole e forse decisivo ritardo, sono sostanzialmente tre: che Bruno Pereira e Dom Phillips si trovino in una qualche comunità indigena isolata, che siano stati coinvolti in qualche incidente o che siano caduti in qualche imboscata e siano stati assassinati. Ipotesi al vaglio di inquirenti fin troppo distratti e di un Presidente della Repubblica, il quale, nei giorni scorsi, si è lasciato andare a commenti a dir poco inappropriati con riferimento a questa tormentosa situazione.

Bolsonaro, nel corso di un’intervista, ha dichiarato che l’indigenista brasiliano e il giornalista britannico si sarebbero imbarcati in una avventura poco raccomandabile, riferendosi alla pericolosa situazione che si vive nella Valle del Javari tra garimpeiros, pescatori di frodo e trafficanti di legname pregiato, armi e droga e al fatto che, sic stantibus rebus, l’avventura raccomandabile sarebbe stata quella di non documentare lo scempio che, invero da decenni, si sta consumando in questo territorio di confine della Amazzonia brasiliana, cui ampie porzioni sono ormai controllate da entità parastatali e criminali, anche grazie alla calcolata inerzia del governo a guida ‘Bolsonaro & militari’

Esiste, infatti, un filo rosso che collega questa sparizione al sostanziale abbandono operato in questi anni dall’attuale esecutivo di tutti i territori di frontiera del Brasile, da quelli amazzonici sino, a scendere, fino alla cosiddetta fronteira seca col Paraguay e alla Triplice Frontiera con Paraguay e Argentina. Il migliore alleato del crimine organizzato in Brasile in questi ultimi anni sono stati Bolsonaro e i suoi scherani, tanto a livello federale quanto statale. Artefici non solo del succitato abbandono, ma anche di truculente e criminali operazioni di polizia (le più recenti: Jacarezinho e Vila Cruzeiro a Rio de Janeiro), incremento del già altissimo incarceramento, soprattutto della comunità afrodiscendente, e indebolimento della legislazione sulle armi a seguito dei reiterati decreti firmati dal Presidente per facilitarne il possesso (ovviamente anche da parte di organizzazioni criminali, quali, per esempio, il Primeiro Comando da Capital). Infine, con precipuo riferimento all’Amazzonia, nessuno come il governo Bolsonaro aveva prima d’ora operato un così capillare smantellamento di tutti gli organi preposti al controllo del territorio e alla sanzione di crimini, dall’Ibama fino allo ICMBio, come pure alla rimozione di funzionari attenti e dedicati, quale, per esempio, Bruno Pereira

Guardando verso nord, alla cosiddetta Rota do Solimões, chiamata così dall’omonimo fiume che attraversa la triplice frontiera amazzonica tra Santa Rosa (Perù), Leticia (Colombia) e Tabatinga (Brasile), si è assistito alla sostanziale sparizione del PCC a tutto vantaggio soprattutto del Comando Vermelho, della Família do Norte, almeno sino a quando questa non è entrata in conflitto con l’organizzazione criminale carioca, e più recentemente della facção Os Crias

Il Comando Vermelho, la fazione criminale più longeva dell’America latina, essendo stata fondata nel 1979 nell’istituto penitenziario Cândido Mendes nella Ilha Grande (Rio de Janeiro), dopo avere perso posizioni nella capitale fluminense a vantaggio delle milizie paramilitari – queste ultime, da sempre, in combutta con politici, anche di profilo nazionale, e ampi settori dei vari corpi di polizia locali – e a sud, sulla cosiddetta Rota Caipira, corridoio del narcotraffico che connette la Bolivia e il Paraguay al Brasile, a vantaggio del Primeiro Comando da Capital, ha diretto le proprie mire espansionistiche verso la regione amazzonica, muovendosi in maniera particolare sull’asse Acre-Amazonas, complice anche la connessione che lega il Rio delle Amazzoni e i suoi immensi affluenti alla Baia di Guanabara (Rio de Janeiro), dove armi e sostanze stupefacenti arrivano senza troppi intoppi

Nel frattempo, passati tre giorni dalla sparizione di Bruno Pereira e Dom Phillips e a seguito di una azione civile pubblica mossa dalla Defensoria Pública da União (DPU), dal Ministério Público Federal e dalla Univaja (Unione dei Popoli Indigeni della Vale del Javari), la giustizia federale, nella persona della giudice federale Jaiza Maria Pinto Fraxe della 1ª Corte Civile dello Stato di Amazonas, ha determinato l’invio immediato di elicotteri, imbarcazioni ed equipe di ricerca nella Valle del Javari per cercare di capire cosa possa essere successo all’imbarcazione su cui viaggiavano Pereira e Phillips. Questo significa che per un lungo lasso di tempo le ricerche sono state svolte con attrezzature inadeguate e contingenti limitati, mostrando, ove ancora ve ne fosse bisogno, il totale disinteresse di Bolsonaro e del suo governo per due persone sparite nel nulla nel bel mezzo della foresta amazzonica. 

Bruno Pereira, inoltre, come messo in evidenza dal portale di notizie UOL, aveva recentemente ricevuto minacce da parte dei garimpeiros, dai trafficanti di legname e dai pescatori della Valle del Javari a causa del suo impegno in difesa delle popolazioni ribeirinhas che vivono sulle rive dei fiumi della regione e delle comunità indigene locali. In una lettera pubblicata dal giornale O Globo, alcuni pescatori avevano promesso una “resa dei conti” con Bruno Pereira

Seguendo queste minacce, le forze di polizia, locali e federali, hanno fermato nella giornata di martedì (7 giugno) Amarildo da Costa de Oliveira, anche conosciuto con l’appellativo di ‘Pelado’, accusato di essere coinvolto nella sparizione di Dom Phillips e Bruno Pereira. In questo caso specifico, ciò che ha sorpreso gli investigatori è stata la rapidità con la quale due avvocati si sono presentati per difendere l’accusato e il fatto che i due legali, Ronaldo Caldas e Davi Barbosa de Oliveira, siano al tempo stesso procuratori di due municipi dello Stato di Amazonas, quello di Atalaia do Norte, dove Pelado è detenuto, e della vicina Benjamin Constant. Il giornale O Globo, inoltre, ha appurato l’esistenza di interferenze politiche con riferimento al fermo di Amarildo da Costa de Oliveira; interferenze su cui gli inquirenti stanno indagando, al momento, senza alcun risultato. 

Una storia intricata, questa legata alla sparizione di Bruno Pereira e Dom Phillips, nella quale abbiamo soltanto una serie di domande, che, fino ad oggi, non sembrano incontrare risposta. La prima e forse più importante verte sulle ragioni per le quali due persone così esperte, soprattutto Pereira, si siano addentrate senza alcuna scorta in un territorio così altamente pericoloso come la Valle del Javari, da anni ormai, come abbiamo visto, prezioso corridoio per ogni tipo di traffico illecito nella regione e dove dal 2019 si è avuta una decisa penetrazione del crimine organizzato

Il secondo interrogativo riguarda le ricerche colpevolmente avviate con grande ritardo e che hanno avuto bisogno di una decisione della giustizia federale al fine di essere più capillari anche grazie all’utilizzo di più ampie unità di personale. Elementi, che si sommano alle difficoltà strutturali del luogo delle ricerche, la Valle del Javari, i cui fiumi in questo periodo dell’anno sono in piena, rendendo ancora più impervia ogni ricerca. L’impressione, per la verità nemmeno troppo velata, è che da parte di Bolsonaro e del suo governo vi sia stato un autentico boicottaggio delle operazioni di salvataggio, quanto è stato ben evidenziato dalle stesse dichiarazioni del presidente brasiliano all’insegna del “qualsiasi cosa sia successa loro, se la sono cercata”. 

La terza questione, che questa storia solleva, riguarda il verminaio di relazioni, che, nella regione dove Bruno Pereira e Dom Phillips sono scomparsi, sembra esistere tra mondo legale e submondo criminale e addirittura tra sfera giudiziaria e ambito criminale, come è stato messo in luce nella vicenda riguardante il fermo di Amarildo da Costa de Oliveira. Come è possibile che gli avvocati difensori di un soggetto ritenuto coinvolto nella sparizione di altre due persone siano, tali avvocati, a loro volta procuratori della repubblica e dunque parte di quello stesso ambiente giudiziario, cui spetterebbe la valutazione delle indagini svolte e l’eventuale ruolo dell’accusa? Ancora, da chi vengono le interferenze politiche che nel corso del suo reportage il giornale O Globo ha appurato e perché, anche a questo riguardo, gli inquirenti brancolano nel buio

“Stiamo investigando tutto. Al momento il nostro lavoro è focalizzato sulle ricerche e abbiamo la speranza di incontrarli ancora vivi. (…) Che abbiano avuto qualche problema con la loro imbarcazione. (…) Ancora non abbiamo forti indizi riguardo alla possibilità di un crimine”, ha dichiarato il generale Mansur, Segretario di Pubblica Sicurezza dello Stato di Amazonas, poco dopo la decisione della giustizia federale di aumentare il numero di effettivi impegnati nelle ricerche di Bruno Pereira e Dom Phillips. Considerazioni incomprensibili, che aggiungono perplessità e sfiducia ad una vicenda gestita malissimo dalle autorità, statali e federali, sin dall’inizio.

Nel momento in cui stendo queste righe (9 giugno, ore 17:38, ora italiana), mi accorgo che su Twitter è partito il ‘tormentone scettico-bolsonarista’ riguardante il motivo per cui Bruno e Dom non avrebbero avvertito del loro viaggio la Funai (Fondazione Nazionale Indigena). Quale Funai? Quella che Bolsonaro ha riempito di militari, esautorandone in tal modo la funzione principale che era quella di difendere le terre indigene dalle invasioni? Quella Funai, che, sin dall’elezione di Bolsonaro, ha fatto una guerra aperta ai suoi funzionari più preparati, tra cui Bruno Pereira? Oppure la Funai dell’attuale direttore, Marcelo Xavier, il quale ha dichiarato che Bruno Pereira e Dom Phillips avevano agito in modo incosciente, non chiedendo l’autorizzazione di ingresso nella Terra Indigena Valle del Javari, senza sapere – o più probabilmente fingendo di non sapere – che di una tale autorizzazione non avevano bisogno per il semplice fatto di non trovarsi all’interno di nessuna terra indigena

Quale, infine, il ruolo svolto dai militari presenti oggi all’interno della Funai e quale quello delle forze di polizia, che operano – o che dovrebbero operare – nella Valle del Javari e più in generale nella regione tristemente nota col nome di Rota do Solimões? Quale il livello di milizianizzazione delle forze di polizia, che attualmente operano in Amazzonia, e quale il coinvolgimento degli organi di giustizia dei vari Stati amazzonici nel più ampio processo di milizianizzazione dello Stato brasiliano capitanato, di fatto, da Bolsonaro e dai militari con lui al governo? Domande, domande e ancora domande, mentre un’altra notte si avvicina e con essa si affievoliscono le speranze di trovare Bruno e Dom vivi e al sicuro da qualche parte.   

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